Piccolo archivio BRUNA e CARLO ZAMAGNI
Se ci sono persone che più di ogni altra identificano, rappresentano ‘il paese che eravamo’, queste rispondono al nome di Bruna e Carlo Zamagni. Gambettola come era, è l’orizzonte sentimentale, oltre che fisico, nel quale si muovono.
Carlo conserva, all’interno di una sua collezione di cartoline, la cartolina-fotografia del palazzo Saladini-Pilastri, di fine ottocento, il simbolo monumentale del Bosco. E’ in ottimo stato, e soprattutto in buone mani.
E poi ricorda tutto visivamente di quel palazzo: la doppia scala che portava all’ampio ingresso del primo piano, le porte in legno tutte chiodate, i bellissimi - anche se malridotti - soffitti a volta con tracce di decorazioni ‘a cielo di carrozza’. Certo, anche le condizioni precarie di quell’unica grande stanza, adibita ad alloggio popolare, tante quante erano le finestre. E il torrino con campana, lassù in alto, che svettava sul tetto a quattr’acque.
A pianterreno c’era l’osteria, alla quale si accedeva passando in mezzo, o meglio sotto la doppia scala. E i tigli a filare unico, lungo la strada principale.
Bruna ricorda tutte le case e gli edifici principali di Gambettola, con i loro decori, e chi ci abitava.
Un paese da loro rimpianto, e giustamente dobbiamo dire. Come dar loro torto? Gambettola fino al 1944, come del resto da tempo sostiene Rinaldo Ugolini e come confermano le fotografie rintracciate per l’Archivio, era un paese ben disposto urbanisticamente lungo la sua strada principale: coeso, unitario, con facciate di un certo pregio, ben ritmato nel suo percorso prima dalla chiesa di Sant’Egidio, quindi dal Palazzo Pilastri e come delimitato a nord dal Palazzo Comunale.
Le fotografie conservate a casa loro ci restituiscono un paese che si riempie fino all’inverosimile durante i corsi mascherati: uniche e davvero importanti le fotografie databili 1937-1942 e quelle del 1950-1953.
Non possono mancare alcune fotografie di scuola e di parrocchia, le due ‘agenzie’ educative più frequentate in quei tempi.
Il loro gusto per il bello è stato come personificato dalla zia Anita Fantini, un’artigiana molto brava, rimasta vedova troppo presto, poi completamente dedita al suo mestiere di sarta. La vediamo attorniata dalle sue numerose lavoranti, in una fotografia del 1922. Di lei parlano i vestiti, confezionati per coloro che sfilavano durante i corsi mascherati o per gente di città che si doveva sposare. Oppure ancora, presi in affitto nel negozio rimasto aperto fino agli anni settanta.
Mentre il gusto per la musica è personificato da Alfredo, un musicista di professione, e da Carlo, ambedue comunque sempre presenti nella Banda Comunale.